Immaginate di accarezzare la carrozzeria sinuosa di un’auto d’epoca, un’icona di tempi passati capace di stregare intere generazioni. Ma al suo interno, un cuore pulsante batte al ritmo del futuro: sospensioni moderne, motori elettrici, infotainment all’avanguardia. Si può riassumere così il fascino del restomod, un connubio tra tradizione e innovazione che conquista i cuori degli appassionati di motori. Evoca ricordi e riaccende la passione nei confronti del “pezzo originale” il progetto dell’azienda portoghese Alma ispirato all’Alfa Romeo Alfasud Sprint 6C.
Un modello che, purtroppo, non vide mai appieno la luce, confinata a un mero esercizio stilistico. Realizzata dall’Autodelta nel 1982 in vista della partecipazione al campionato di rally nel Gruppo B, l’idea fu accantonata, lasciando un senso di incompiuto tra i fan del Biscione.
Qualcuno ha sperato di vederla un giorno e, se ampliamo gli orizzonti, continua a sperare nel ritorno dell’Alfa Romeo Alfasud di serie. Sull’effetto nostalgia, nel 2015 il designer serbo Radovan Varicak aveva offerto un’interpretazione moderna. L’eco mediatico generato dall’iniziativa aveva catturato, oltre alla stampa italiana, anche quella estera.
Ti chiedi perché? Allora ti sei forse avvicinato solo da poco ai motori. L’esemplare originale, fabbricato a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, ha, infatti, scritto delle pagine memorabili, ai quali cercheremo di dare il giusto risalto nei prossimi paragrafi. Mettiti comodo e ripercorri insieme a noi i fasti di un veicolo entrato nella leggenda.
Indice
Drappello di fenomeni
La storia della Casa a Pomigliano d’Arco è un romanzo industriale che si intreccia con le vicende economiche e sociali del Meridione. Tutto ebbe inizio agli inizi del XX secolo, quando Darraw, azienda francese di cui Alfa Romeo era la filiale italiana, stabilì un sito nella zona. Il complesso ebbe poi una vocazione aeronautica, attivo nella fabbricazione di motori per aerei e munito di una pista di collaudo. Già negli anni Cinquanta, il marchio covava l’ambizione di estendere la relativa gamma verso il basso.
I vertici dirigenziali sentivano il bisogno di proporre qualcosa di più accessibile rispetto alle sportive, senza, però, rinnegare il proprio DNA. I progettisti elaborarono varie proposte, certe alquanto audaci in rapporto all’epoca, come la trazione anteriore, che faceva storcere il naso ai puristi. Per tastare il terreno e sottrarre qualche clienti a Fiat, Pomigliano “sfornò” su licenza le Renault Dauphine e 4.
Verso la fine degli anni Sessanta, in seguito ad alcuni tentativi rivelatisi un buco nell’acqua, il Biscione ebbe l’occasione di realizzare la sua “baby”. Giuseppe Luraghi, allora amministratore delegato, ottenne un consistente sostegno economico dallo Stato, proprietario della compagnia. In cambio, Alfa Romeo si impegnava a realizzare la vettura nel Mezzogiorno, così da creare nuovi posti di lavoro in un’area depressa e bisognosa di sviluppo.
Il piano coinvolse nomi di altissimo calibro, quali Giorgetto Giugiaro, fiero di indipendenza dal suo precedente studio, Carlo Chiti, deus ex machina di Autodelta (la divisione corse) e Rudolf Hruska, ex uomo fidato di Ferdinand Porsche. I requisiti da osservare furono precisi: plasmare una macchina comoda, spaziosa, parca nei consumi e, al solito, esaltante nella guida. Il risultato fu l’Alfasud, un nome richiamante il brand e il territorio destinato a beneficiarne del successo.
L’auto giusta al momento sbagliato
Il “battesimo di fuoco” ebbe luogo al Salone di Torino del 1971. Spinta da un vivace motore boxer a quattro cilindri, la piccola due volumi a trazione anteriore colpì subito per le doti dinamiche e lo spazio interno. Delle virtù che la reso appetibile a una platea generalista. Alla rassegna partecipò dopo essere stata pizzicata all’uscita del Portello.
In un articolo apparve sotto forma di una curiosa 2 volumi e ½, vale a dire comprensivo di un piccolo baule dalla coda tronca. Il titolo fu servito: “L’utilitaria dell’Alfa”. Al di là della scocca nascosta, di autentici vi furono soltanto le portiere, il parabrezza e il lunotto.
Il centro stile aveva preventivato di essere braccato da occhi indiscreti, perciò intervenne in corsa, in modo da cogliere di sorpresa i presenti alla cerimonia. Apriamo una piccola parentesi: il piccolo terzo volume con coda tronca verrà realizzato sull’erede dell’Alfasud: l’Alfa Romeo 33, da non confondere con l’omonima supercar Stradale svelata nel 2023.
Tuttavia, la carriera fu costellata da problemi produttivi e di qualità, legati agli scioperi degli operai nello stabilimento di Pomigliano d’Arco e alla carenza di controlli. La ruggine rea di corrodere le lamiere e i frequenti guasti meccanici offuscarono presto l’immagine del Biscione, andando a tarpare le ali del modello.
A dispetto dei passi falsi, l’Alfasud continuò ad evolversi, forte di motori più potenti e versioni sportive come la coupé Sprint e la Giardinetta. Un ruolo di primo piano se lo ritagliò la 1.5 Quadrifoglio Verde: in grado di erogare 105 CV, sfiorava i 180 km/h e costituiva una valida alternativa alle sportive tedesche dell’epoca.
Musa ispiratrice
In parallelo alla messa in commercio, l’Alfasud si erse a protagonista in competizioni sportive. Tra un campionato monomarca dedicato e diverse partecipazioni ai rally, le sue gesta riecheggiarono tra i Costruttori. In aggiunta, Autodelta sperimentò due concept con unità sei cilindri (V6) Busso, centrale per il Gruppo B. L’idea scatenò gli entusiasmi generali, ma non si arrivò mai al dunque, a causa delle difficoltà finanziarie dell’azienda.
Con le declinazioni standard, l’Alfasud ispirò la fantasia di designer come Giugiaro, che se ne prese spunto per la sua Caimano, un prototipo futuristico mostrato nel 1976. La berlina andò avanti a uscire dalle catene di montaggio fino al 1984, mentre la Sprint si congedò nel 1989. La seconda aveva, però, già perso la denominazione Alfasud nel 1983, in “compenso” fruì dell’ultimo incremento di cilindrata: il compatto boxer salì fino a 1.7 litri, capace di sprigionare 114 CV nella versione con due carburatori doppio corpo.
Benché gli esordi furono tortuosi, l’Alfasud riscosse un buon successo nelle concessionarie, con un totale di oltre un milione di esemplari. Oggi ha riscoperto il fascino tra i collezionisti, portato su un palmo di mano data la storia, la guidabilità e il design ancora attuale. Se la desiderate pure voi, vi farà piacere che nei portali di compravendita è possibile trovarla in buone condizioni a cifre accessibili, intorno ai 2.000 euro. Accertatevi prima che il venditore sia una persona raccomandabile.