Jaguar collassa in Europa, le vendite crollano ai minimi

Vendite crollate del 95% in un anno e un rebranding disastroso: Jaguar annaspa tra errori strategici e problemi tecnici. Il marchio britannico rischia di scomparire

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Tommaso Giacomelli

giornalista automotive

Nato e cresciuto a Lucca, laureato in Giurisprudenza a Pisa, sono riuscito a conciliare le due travolgenti passioni per auto e scrittura. Una grande fortuna.

Pubblicato: 6 Giugno 2025 07:30

Cosa resta di un grande marchio, quando perde la bussola? Se lo chiedono in tanti, in queste settimane, guardando con sgomento i numeri impietosi che arrivano da Coventry. Jaguar, la casa del giaguaro rampante, l’emblema dell’eleganza sportiva britannica, sta vivendo il momento più buio della sua lunga storia.

I dati parlano chiaro. Ad aprile 2025, in tutta Europa, Jaguar ha venduto appena 101 vetture. No, non è un errore sono – sfortunatamente per l’azienda di “Sua Maestà” – appena centouno esemplari venduti. Dodici mesi fa erano 1.951. Significa un crollo del 94,8%, roba da mettere in crisi persino un marchio emergente, figuriamoci un costruttore con quasi novant’anni di storia sulle spalle.

Un rebranding dannoso

E se si allarga lo sguardo ai primi quattro mesi dell’anno, la situazione non migliora: 2.520 vetture vendute nel 2025, contro le 10.778 del primo quadrimestre 2024. Tradotto: -76%. Un bagno di sangue. E allora il quesito sorge spontaneo: cosa sta succedendo a Jaguar? Perché un marchio tanto amato, capace di incarnare per decenni il perfetto equilibrio tra prestazioni e classe, sembra ora sparito dai radar?

Le cause sono molteplici, ma una cosa è certa: l’ultimo rebranding è stato una capriola all’indietro in piena regola. Una virata decisa verso uno stile “inclusivo”, urbano, vagamente etereo, che ha finito per snaturare l’identità del marchio. Jaguar ha smesso di essere quella di sempre. Ha cessato di parlare agli appassionati, per rivolgersi a un pubblico che, semplicemente, non esiste. O meglio: non compra automobili da sessantamila euro.

La fama di auto inaffidabili non aiuta

Nel frattempo, anche l’affidabilità tecnica ha fatto acqua. Negli ultimi anni sono emersi gravi problemi ai motori, in particolare su alcuni modelli diesel, che hanno minato ulteriormente la fiducia dei clienti. Quando un marchio perde in solidità meccanica e al tempo stesso smette di emozionare, la caduta è inevitabile.

A rincarare la dose ci ha pensato Jeremy Clarkson. L’ex conduttore di “Top Gear”, con uno dei suoi soliti affondi al vetriolo, ha definito il nuovo corso Jaguar “una caricatura woke di sé stessa”. E per quanto si possa discutere il tono, la sostanza è difficile da contestare. Eppure, in mezzo al disastro, qualcosa resiste. Jaguar ha ancora una line-up di tutto rispetto: la sportiva F-Type, le SUV F-Pace ed E-Pace, e soprattutto la I-Pace, l’elettrica che — da sola — ha venduto 1.642 unità in Europa nel 2025, rappresentando oltre il 65% del totale del marchio. Ma non basta. La I-Pace è una buona vettura, certo, ma è sola contro un mercato che corre e contro una strategia che sembra non sapere più a chi rivolgersi.

Una mossa per riparare ai danni

Il gruppo JLR (Jaguar Land Rover), controllato dal colosso indiano Tata, sta provando a correre ai ripari. Il rebranding, accolto con sarcasmo perfino dai media britannici, è già stato silenziosamente messo in pausa. Si parla — senza conferme ufficiali — di un ritorno all’essenza Jaguar: prestazioni, eleganza, esclusività. Ma il tempo stringe. La domanda, allora, è semplice: Jaguar riuscirà a rialzarsi? La speranza c’è. La storia, il blasone e il potenziale non mancano. Ma serve una rotta chiara, e soprattutto il coraggio di tornare a essere ciò che si è sempre stati: un marchio capace di far battere il cuore, non di assecondare mode del momento.