La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza contro A.M.M. per la cosiddetta “truffa del casello”. Nel corso degli accertamenti eseguiti dalle autorità è emerso un sofisticato sistema di appropriazione indebita, che ha coinvolto pure due complici, tutti operativi presso il casello autostradale di Assago. Il caso ha scatenato forti preoccupazioni sulla gestione e sul controllo degli incassi, rivelando falle nel sistema che hanno permesso la frode.
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Semplice, ma efficace
Secondo quanto riporta Casertanews, i malfattori avrebbero messo in atto varie pratiche e raggiri, atti a sottrarre illegalmente le somme raccolte dai pedaggi autostradali. In buona sostanza, la truffa del casello ricorreva a un metodo alquanto ingegnoso: l’offuscamento delle barriere ottiche. Attraverso tale stratagemma gli imputati evitavano la registrazione dei veicoli in transito, cosicché il sistema di rilevamento automatico non segnalasse il passaggio. Di conseguenza, ricevevano le somme incassate senza anomalie ravvisate nel flusso dei pagamenti.
La tecnica adottata da A.M.M. e dai due complici ha suscitato l’attenzione delle autorità per la sua semplicità e, al tempo stesso, efficacia. Normalmente incaricate di registrare il passaggio di ciascuna mezzo di trasporto, le barriere ottiche venivano offuscate o manomesse, affinché non rilevassero il numero esatto di transiti. Dunque, il totale incassato registrato risultava inferiore a quello effettivo, e gli operatori trattenevano la parte eccedente.
Grazie alla frode ben studiata, i truffatori hanno potuto agire indisturbati, almeno per un certo periodo, fino alle discrepanze notate in controlli incrociati. A quel punto, il “castello è crollato”. Messe al corrente delle stranezze, le autorità hanno eseguito un’indagine approfondita, dalla quale è emerso l’illecito. Benché manchino delle stime esatte, la truffa del casello è andata avanti abbastanza da arrecare un ingente danno economico alla società autostradale Milano Serravalle, gestore del casello in questione.
Respinta la tesi difensiva
Durante il processo, la difesa di A.M.M. ha provato a smontare le accuse, asserendo che l’assistita non fosse presente nel luogo del reato durante il periodo incriminato. Il rappresentante legale ha avanzato l’ipotesi di uno scambio di turni tra gli esattori, con una possibile confusione tra colleghi nel passaggio delle tessere di riconoscimento.
Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto l’argomentazione, in quanto priva di fondamento. Mancherebbero, infatti, delle prove concrete a sostegno della tesi difensiva. Nessun elemento ha lasciato ipotizzare uno scambio di turni non documentato né tantomeno prove sufficienti ad avvalorare l’assenza dell’imputata, nei momenti in cui gli illeciti hanno avuto luogo. Pertanto, gli ermellini hanno dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la precedente condanna dell’imputata.
Poiché la Corte di Cassazione costituisce l’ultimo grado di giudizio, la sentenza ha carattere definitivo. Sulla donna pende l’onere di pagare 3.000 euro come multa alla Cassa delle Ammende, un fondo dedicato alla gestione delle sanzioni inflitte ai condannati senza ulteriori possibilità di appello. Inoltre, A.M.M. dovrà coprire le spese legali della parte civile, vale a dire della società autostradale Milano Serravalle. Salita all’attenzione generale, la storia fa sorgere spontanei alcuni interrogativi sull’affidabilità dei dispositivi impiegati dalle compagnie: non è da escludere l’adozione di tecnologie più avanzate per contrastare il ripetersi di pratiche fraudolente.