Giù le mani dagli autovelox: non appena Matteo Salvini ha dichiarato loro guerra, è accaduto il finimondo. Le amministrazioni comunali hanno mosso critiche a raffica contro la presa di posizione del leader leghista, attuale vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. C’è chi lo ha additato di mettere a repentaglio la salute dei cittadini, attraverso la decisione, così demagogica.
D’altronde, tra la popolazione i rilevatori di velocità non hanno mai goduto di particolari simpatie (giusto per essere clementi) e la campagna avviata li soddisferebbe. Il numero uno del Carroccio sente che gli enti locali abbiano calcato la mano, riempiendo le strade mosse per battere cassa, anziché perseguire il vero fine.
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Davanti agli Stati Uniti
La nuova riforma del Codice della Strada tocca pure altri temi importanti, compresa l’incresciosa abitudine di mettersi alla guida dopo aver bevuto, ma passano in secondo piano. Perché se colpire chi espone sé stesso e gli altri utenti della strada raccoglie il plebiscito, lo stesso non vale in proposito agli autovelox. Ora, però, la coalizione di centrodestra al potere ha un ulteriore elemento a supporto: il nuovo report diffuso da DiscoverCars. Stando alla ricerca effettuata, il Paese con il maggior numero di autovelox e rilevatori di semafori rossi in assoluto è il Brasile, a quota 15.380 dispositivi complessivi. In seconda posizione c’è proprio la nostra penisola, con 8.104 autovelox e 2.321 Photored, pari a 10.425 device.
Assurdo a dirsi, ma negli Stati Uniti, grandi 32,5 volte il Belpaese, ce ne sono di meno: 7.975 (3.794 telecamere a luci rosse, 4.001 autovelox). Seguono nella top 10 il Regno Unito a quota 4.815 (811, 4.004), la Germania a 4.277 (408, 3.869), la Francia a 3.689 (720, 2.969), gli Emirati Arabi Uniti a 2.591 (482, 2.109), la Svezia a 2.487 (0, 2.487), la Spagna a 1.975 (377, 1.598) e la Turchia a 1.497 (70, 1.427).
Una spesa dietro l’altra
Le rilevazioni diffuse dimostrano che qualcosa nel sistema italiano è quantomeno da perfezionare. Del resto, il modo in cui i fondi raccolti dalle sanzioni comminate ai conducenti sono stati impiegati è stato quantomeno rivedibile. La famiglia dei guidatori sembra continuo oggetto di manovre ostili, malgrado dal punto di vista dei trasporti pubblici tanto debba essere ancora fatto. Tra l’assicurazione (peraltro continuo oggetto di rincaro), il carburante (idem), il bollo, la revisione e la manutenzione ordinaria è un salasso. E poi vien da chiedere cosa trattenga dallo scegliere una vettura di recente lancio sul mercato, magari elettrica.
In una realtà dove il reddito medio è invariato da tantissimo tempo, sarebbe strano il contrario. Un segnale di ripresa è giunto in seguito agli incentivi, confermati anche per il 2024 e mai tanto generosi. La cifra messa sul tavolo ha sfiorato il miliardo di euro (950 milioni, a voler essere precisi), distribuito, in primis, sui veicoli a batteria, con il tesoretto dei due anni precedenti rimasto inutilizzato. Abbracciare il cambiamento è l’unica via di restare a galla e abbassare le emissioni inquinanti, un problema affrontato di petto dalla Commissione Europea. Che, come ben sappiamo, ha sancito il bando delle macchine a benzina e gasolio nel 2035, malgrado la premier Giorgia Meloni abbia espresso a più riprese tutta la propria contrarietà, insieme ai compagni di lavoro.