Meglio tardi che mai. Assume tinte grottesche l’odissea giudiziaria affrontata da un cittadino di Caltabellotta, in provincia di Agrigento, durata la bellezza (si fa per dire…) di 23 anni, prima di riavere indietro la patente, sottrattagli a scopo precauzionale. Non osiamo immaginare quanti momenti di sconforto abbia avuto durante l’infinita trafila, che ricorda, ancora una volta, quanto siamo capaci di farci notare, nel bene e nel male.
Indice
Una storia infinita
Tutto è cominciato nel lontano 1996 quando un uomo, oggi 85enne, si è visto ritirare la patente a causa di una misura di prevenzione. Nonostante l’atto sia poi giunto a scadenza, le successive richieste di restituzione della licenza sono state respinte nell’arco dei due decenni successivi.
Al termine del provvedimento, il conducente ha cercato di far valere le proprie ragioni per riavere il diritto a guidare, dando inizio a una lunga e tortuosa trafila. L’episodio si è trascinato tra ricorsi, pareri contrastanti e cambi di competenza tra tribunali. Inizialmente adito, il Tar di Catania si è dichiarato incompetente, costringendo l’uomo a interpellare il giudice civile di Palermo.
Sarebbe stato facile lasciarsi sopraffare dalle avversità e, invece, l’automobilista ha portato avanti il contenzioso. Il pronunciamento sembrava non arrivare mai, poi, dopo oltre un ventennio, il giudice ha accolto finalmente la richiesta: condannata la Prefettura di Agrigento, ha disposto la restituzione della patente.
Consapevoli dell’ingiustizia subita dal loro cliente, gli avvocati Girolamo Rubino e Daniele Pizza hanno presentato ricorso alla Corte d’appello di Catania. Sulla base della legge Pinto, i legali hanno dato battaglia nel tentativo di ottenere un equo indennizzo derivante dall’irragionevole durata del processo.
Trovate valide le argomentazioni addotte dall’accusa, la Corte ha condannato il ministero dell’Economia e delle Finanze a versare alla parte lesa un risarcimento di 8.000 euro. “Tenuto conto della vicenda controversa, la durata ragionevole dell’intero giudizio deve determinarsi in anni tre con un’eccedenza ingiustificata complessiva pari ad anni 20”, dichiara la Corte d’appello di Catania.
È davvero difficile non considerare questa come una vittoria di Pirro. Benché la disputa si sia risolta a favore, niente e nessuno potrà compensare i 23 anni di disagi e frustrazioni subiti dall’uomo. Infatti, l’85enne si è visto privare per tanto, troppo tempo la possibilità di guidare, un diritto fondamentale negato in maniera ingiusta.
Processi troppo lunghi, confronto col resto d’Europa
Il Belpaese è stato spesso criticato per la durata dei processi. Secondo un rapporto del Consiglio d’Europa, una battaglia civile che attraversa tutti e tre i gradi di giudizio (Tribunale, Appello e Cassazione) dura in media otto anni. Una stima ben al di sopra della media dei Paesi membri del Consiglio d’Europa, pari all’incirca a due anni.
A sua volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia. Nel 2015, con una media di 393 giorni, figurava tra gli ultimi Stati dell’Unione Europea in quanto a durata dei procedimenti civili, commerciali e amministrativi. La vicenda solleva ulteriori interrogativi sulla lentezza e l’efficacia della giustizia nazionale. È il caso di adottare delle misure concrete affinché la giustizia acceleri e garantisca un accesso più equo alle tutele legali.