Full Hybrid  

Foto di Claudio Braglia

Claudio Braglia

Giornalista professionista automotive

Frequentava ancora la facoltà di ingegneria quando ha iniziato la sua carriera giornalistica a Motosprint e Autosprint. Successivamente sono arrivate InMoto, Auto, SuperWHEELS, Moto World e alVolante, alcune delle quali ha anche concepito e diretto. La sua passione? Guidare soprattutto in pista e realizzare le prove più complete supportate da rigorosi rilevamenti strumentali.

L’intuizione di base è semplice e “furba”: abbinare un motore elettrico a uno termico per far lavorare meno quest’ultimo, riducendone consumi ed emissioni. Una soluzione che, oltre a permettere di tranquillizzare la propria “coscienza ecologica”, ha soprattutto il vantaggio di evitare “l’ansia da ricarica” che si prova alla guida di un’auto completamente elettrica (a causa della sua scarsa autonomia), potendo fare anche affidamento sul serbatoio della benzina del motore termico.

L’idea del Sistema Ibrido non è propriamente nuova, ma affonda le sue radici alla fine del diciannovesimo secolo. Fra i progetti che videro la luce in quel periodo, ce ne fu uno (del 1899) firmato nientemeno che dal professor Ferdinand Porsche: si trattava di una specie di carrozza con due propulsori termici che alimentavano due generatori che a loro volta azionavano motori elettrici integrati nelle ruote, ricaricando pure la batteria. L’autonomia era già di 65 km

La prima dell’era moderna

Nella nostra epoca, la riscoperta dei motori a doppia propulsione va attribuita alla Toyota, che presentò la Prius Full Hybrid nel 1997, riscoprendo contestualmente pure il Ciclo Atkinson-Miller che, grazie al suo elevato rendimento termodinamico, si è rivelato il partner ideale per lavorare in sinergia coi motori a batteria.

Il suo minor vigore ai bassi regimi viene, infatti, compensato dalla prontissima risposta delle unità elettriche, mentre in città il suo superiore rendimento esalta l’intrinseca efficienza dei sistemi ibridi.

Lavoro di squadra

Un’auto Full Hybrid (l’acronimo corretto è FHEV: Full Hybrid Electric Vehicle) è in grado di funzionare per brevi tratti in modalità completamente elettrica, senza la necessità di utilizzare il motore tradizionale, oppure entra in funzione fornendo un surplus di coppia quando il propulsore termico è in difficoltà. Nei rallentamenti e in frenata, un generatore trasforma l’energia cinetica (che altrimenti verrebbe dispersa da pinze e dischi freno, sotto forma di calore) in corrente che ricarica una batteria.

Quest’ultima alimenta un motore trifase che supporta quello a benzina (o a gasolio), migliorandone la spinta e riducendone consumi e inquinamento; il propulsore elettrico consente anche, per brevi tratti e a bassa velocità, di viaggiare a emissioni zero. La centralina di controllo decide automaticamente quanto utilizzare il motore termico e quando fare intervenire quello elettrico in base alle condizioni di guida e alla pressione sull’acceleratore.

È così che si aiutano

I vari flussi di coppia sono gestiti da un ripartitore controllato da una centralina, mentre il motore elettrico è collegato a quello termico e alle ruote da uno speciale cambio automatico. Alle basse andature funziona soprattutto il propulsore elettrico.

Quando serve più spinta lavorano entrambi, mentre a elevata velocità resta in funzione solo quello a benzina. Il motore termico migliora le prestazioni e allo stesso tempo funziona come generatore che recupera l’energia in eccesso per ricaricare la batteria e alimentare quello elettrico, riducendo così il consumo di carburante.

Si ricaricano gratis nei rallentamenti

Le “FHEV” si distinguono dalle “Mild Hybrid” (le ibride basiche) prima di tutto perché sono sempre automatiche (talvolta con soluzioni specifiche per far “collaborare” senza soluzione di continuità i vari propulsori, collegati con un ruotismo epicicloidale seriale/parallelo), e poi per il motore elettrico molto più potente (può anche superare i 100 CV) e per la batteria (che, come in tutte le ibride, si ricarica “gratis” nei rallentamenti) più capiente.

Per fornire tali prestazioni, anche la batteria di trazione è opportunamente dimensionata: lavora in alta tensione (dai 200 V in su) e ha una capacità di carica che solitamente oscilla tra 1 e 2 kWh. La capacità della stessa è relativamente ridotta, in quanto non serve a garantire autonomia elettrica, ma svolge il ruolo di “buffer energetico”.

Più luci che ombre

I vantaggi delle “Full” sono molteplici: il motore elettrico spinge forte già dai primi giri (quando quelli convenzionali sono più “pigri”) e risponde istantaneamente all’acceleratore. In più, nei rallentamenti produce corrente (se trascinato dalle ruote diventa un generatore), offre un feeling di guida analogo a quello di una “vettura termica” e maggior silenziosità a bassa andatura.

In aggiunta, garantisce una forte riduzione delle emissioni e notevoli miglioramenti nei consumi in città (dalle prove strumentali da noi effettuate, i modelli più efficienti arrivano anche a sfiorare i 30 km/litro), quindi un’ampia autonomia, nessuna necessità di ricorrere a ricariche esterne, senza contare che con le “Full” non c’è l’ansia di trovarsi con la batteria scarica, e che i prezzi sono più accessibili rispetto a quelli delle vetture elettriche.

Davvero pochi i nei

Fra gli svantaggi, da citare lo scarso contributo ai consumi nella marcia autostradale (dove le decelerazioni sono rare), prezzi più elevati rispetto a quelli di un’auto corrispondente solo a benzina o Mild Hybrid, maggiore massa e complessità rispetto a un’auto solo termica, prestazioni con propulsione elettrica ridotte e, di solito, una limitata capacità del baule (per via dell’ingombro del sistema ibrido).