Sono sicuramente pochi gli automobilisti con oltre 50 primavere che non siano incappati in una domanda sullo spinterogeno durante l’esame per la patente di guida. Chi, invece, è più giovane, probabilmente non ha la minima idea di che cosa si tratti, visto che parliamo di un dispositivo installato solo nelle vetture più “anziane” prive di accensione elettronica.
Basandoci sull’etimologia, letteralmente significa “generatore di scintille” (dal greco spinthḗr -êros ‘scintilla’ e -geno), e in effetti è stato concepito alla fine degli anni 20 del secolo scorso solo per i motori a benzina (cioè, ad accensione comandata). Si tratta di un sistema elettromeccanico col compito di amplificare la tensione della batteria, trasformandola in scariche elettriche ad arco filiforme per far scoccare le scintille nelle candele di accensione.
Vediamo come funziona
Prima di tutto mi sembra doveroso precisare che il termine spinterogeno esprime la compagine di componenti necessari a produrre la scintilla nelle varie camere di scoppio, e non il sistema di regolazione dei tempi di fasatura dell’accensione col quale viene spesso confuso… Abbandonato progressivamente (a partire da quarant’anni fa) in favore dell’accensione elettronica, è un dispositivo complesso costituito da un ruttore e da un distributore a spazzola rotante calettati su un alberino che gira a velocità dimezzata rispetto a quella dell’albero motore.
Il primo, disposto in serie con la batteria e con l’avvolgimento a bassa tensione della bobina d’accensione, provoca l’interruzione periodica della corrente, generando per induzione, nel circuito secondario della bobina, una tensione molto elevata (normalmente da 20.000 a ben 50.000 volt) che viene inviata, mediante il distributore rotante, alle candele. Tale notevole tensione, provoca la scintilla necessaria all’accensione della miscela secondo un’appropriata sequenza nei diversi cilindri del motore.
Tutti potevano “metterci le mani”
A differenza delle accensioni più moderne (sulle quali possono intervenire solo specialisti attraverso complessi software), lo spinterogeno era accessibile anche agli appassionati e ai cosiddetti “meccanici di campagna”: completamente e facilmente regolabile (agendo su una camma che ruota solidale al distributore e in fase con l’albero motore che agisce sul ruttore), nonché modificabile e riparabile. Bastava ruotare la “scatola” per regolare l’anticipo, mentre la citata rotazione era automatica durante il funzionamento del motore (solitamente grazie all’azione di un dispositivo centrifugo a masse rotanti).
Dunque, semplice e geniale. Peccato soltanto che i contatti e la bobina fossero vulnerabili all’usura, alla sporcizia, ai falsi contatti e all’umidità, oltre che a rischio di totale “black-out” nel caso che lo spinterogeno (che, evidentemente, non era a tenuta stagna) fosse raggiunto dall’acqua, come poteva succedere passando in una profonda pozzanghera…