In caso di omicidio stradale, senza la rilevata presenza di sostanze alcoliche (sopra la soglia massima fissata) o stupefacenti, non vi è diritto alla revoca automatica della patente. Ai sensi dell’art. 222 del Codice della Strada, è, infatti, possibile disporre la sospensione della licenza. Alla luce dell’alternativa disponibile, la Corte di Cassazione conferma l’interpretazione, ormai prevalente, attraverso la sentenza n. 25780/2024 e, a causa di ciò, il ricorso presentato dall’imputato è stato accolto.
L’automatismo della revoca della patente è previsto solo in casi specifici, ovvero quando dopo il reato stradale al colpevole vengano rilevati un tasso alcolemico elevato e/o la presenza di droghe. In tutte le altre circostanze, sussiste l’obbligo il dovere di motivare la decisione di applicare la revoca, specificando le ragioni che spingono a ritenere il conducente un pericolo per la sicurezza stradale.
Indice
La sentenza
La sentenza della Cassazione è nata dal ricorso di un guidatore condannato per omicidio stradale. In concomitanza, gli era stata revocata la patente, senza, però, che il giudice spiegasse la sua decisione. La Cassazione ha ritenuto fondate le ragioni dell’impugnazione, stabilendo che la pena non poteva essere applicata in automatico e l’organo preposto aveva l’onere di motivare la scelta. Nella fattispecie, aveva l’onere cosa lo abbia portato al provvedimento anziché disporre la meno drastica sospensione della licenza di circolazione.
“In assenza delle aggravanti della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, qualora il giudice applichi la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in luogo di quella, più favorevole, della sua sospensione, deve dare conto, in modo puntuale, delle ragioni che lo hanno indotto a ritenere il comportamento dell’imputato altamente pericoloso per la vita e per l’incolumità delle persone”.
Perché il ricorso del conducente è stato accolto
“Il giudice del patteggiamento è incorso in motivazione apparente e insufficiente in quanto – prosegue il testo -, dopo aver dato per accertato il concorso di colpa della persona offesa per una serie di infrazioni al codice della strada e dopo aver evidenziato che lo sbandamento da parte del prevenuto era dipeso anche dalle condizioni dell’asfalto, ha omesso di dare conto, seppure con la sommarietà che il rito speciale richiede, delle ragioni per cui abbia applicato la più severa delle sanzioni amministrative ritenendola proporzionata alla gravità delle infrazioni commesse consistite nella velocità eccessiva (60-70 km/h) e nel suddetto sbandamento.
La motivazione omette di evidenziare i criteri in base ai quali ha espresso un giudizio di adeguatezza e di proporzionalità della massima delle sanzioni amministrative, senza dare conto della ‘gravità della infrazione’ e, in particolare del ‘pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare’, sulla base di una concreta verifica del contesto fattuale in cui il sinistro si è realizzato”.
Nella sua sentenza, la Suprema Corte ha, dunque, sottolineato come la revoca della patente costituisca una sanzione parecchio grave, capace di avere un impatto significativo sulla vita del condannato. Di conseguenza, il giudice ha l’obbligo di spiegare il provvedimento, a meno che l’imputato non sia sotto l’influenza di droghe o abbia superato la soglia massima di tasso alcolemico consentito.