Ci sono alcuni stili nel mondo custom che hanno un fascino speciale e possono vantare titoli nobiliari, vuoi per la loro storia, vuoi per la loro rilevanza nel cambiare e ridefinire il linguaggio delle motociclette. Sicuramente il re di tutti gli stili nobili del custom è il chopper.
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Da dove nasce il nome
Il nome nasce dal verbo inglese “to chop”, tagliare. Questo perché il primo e fondamentale tratto distintivo di un chopper è il canotto di sterzo che viene tagliato e inclinato, in modo da poter ospitare le forcelle allungate. Questo stile nasce negli anni ’60 negli Stati Uniti, come evoluzione naturale dei bobber. Tagliare, eliminare qualsiasi elemento non essenziale dalla moto per renderle più lineari ma allo stesso tempo strane e “cool” era la filosofia alla base. Il chopper ha nel suo DNA tutti i geni freak della sperimentazione creativa della controcultura californiana degli anni ’60, di cui diventa velocemente un’icona. Si affermano in quegli anni in giro per gli Stati Uniti un pugno di geniali customizer che danno sfogo sulle motociclette alla loro fantasia acida.
Biker e costruttori come Dick Allen o Tom Fugle, artisti kustom come Dave Mann e Ed “Big Daddy” Roth sono stati la benzina creativa che ha incendiato il mondo del custom, stabilendo i codici linguistici che ancora oggi fanno vibrare i nostri cuori nel petto e i nostri bicilindrici sotto il culo.
I chopper classici sono stilisticamente molto definiti: canotto stratched con lunghe focelle, manubrio hap hange, telaio rigido, ruota anteriore a raggi senza freno, sella bassa profilata sul telaio. Elementi aggiuntivi sono gli scarichi rivolti verso l’alto magari con finali fish-tail e bitch-bar per far viaggiare “comode” le donne che accompagnavano i bikers 1%er nelle loro scorribande. Il motore? Spesso Harley o grandi bicilindrici americani, ma non necessariamente. Splendidi chopper nascevano su base Triumph prima e con i quattro cilindri in linea giapponesi poi.
Si tratta di uno stile 100% fuorilegge, nato per correre con mezzi estremi sulla sottile lama che divide la pura e selvaggia libertà dalla catastrofe. In fondo è proprio la radicalità di questo stile che continua ad alimentarne il fascino. Quando si guarda un chopper si prova un senso di forte attrazione e di sottile disagio paragonabile a quello che qualsiasi persona normale prova davanti a un leone in libertà. In fondo un vero chopper ti costringe a fare i conti con tutti quei compromessi e sovrastrutture che lui, per sua stessa natura, non ha. Il chopper è una sfida: estetica e tecnica. Non è un caso che il chopper più famoso sia “Captain America” di Easyrider, il film che, pur non trattando di temi strettamente biker, ha rappresentato più di tutti il senso di comunione tra certe motociclette e la Libertà. Captain America e’ un chopper? No, e’ IL chopper.
La scuola dei chopper
La scuola dei chopper ha due grandi tradizioni, una americana e… una svedese. Per quale ragione quel simpatico popolo dedito principalmente all’esportazione di mobili dai nomi impronunciabili abbia una sorta di culto per questo stile motociclistico è un mistero secondo solo al mostro di Loch Ness e al calcolo della TASI.
Anzi, se riesco a convincere il mio “mecenate” di Motorlife a pagarmi la trasferta, potrei andare a trovare un amico comune appena trasferito là e il prossimo articolo potrebbe avere un titolo tipo: “Scoop! svelato il mistero del perchè gli svedesi amino i chopper”.
I chopper vivono un periodo di appannamento nei tardi ’80 e nei ’90 quando lo stile dominante dei custom si basava su tanto alluminio billet, ma sotto le braci covava una nuova generazione di preparatori-artisti pronti a dare linfa alle lunghe forcelle, uno su tutti Lo Sciamano. Andate a vedere Indian Larry, detto “Chopper Shaman”, con quanta coerenza abbia saputo portare avanti questo stile anche quando la moda portava altrove, quanto le sue moto (una su tutte la “Grease Monkey”) e la sua vita siano state di ispirazione per tanti bikers che ancora oggi lo venerano, nonostante il tragico incidente che se lo portò via nel 2004. Un misto di capacità realizzative eccezionali e creatività visionaria gli hanno consentito di mettersi in contatto con gli spiriti della terra del chopper per esplorarne i suoi confini. Oggi dove c’era la sua officina si svolge a settembre il “Brooklyn invitational Bike Show” (su instagram le foto con hastag #brooklyninvitational), l’evento motociclistico più figo della east-coast.
Se avete la fortuna di andarci vi do un consiglio: a Brooklyn ci sono esattamente le stesse vie/indirizzi a Nord e a Sud. È fondamentale sapere che Indian Larry prima e oggi il party sono all’indirizzo Nord. Allo stesso indirizzo a Sud ci abita una tipica famiglia americana che per vostra informazione ama addobbare riccamente la propria villetta a Natale… lo so per esperienza diretta con un paio di amici #proudlyeuro0.
Tornando ai chopper, insieme a Indian Larry altri due grandi artisti a inizio 2000 hanno rilanciato questo stile portandolo nel presente: Jesse James di West Coast Choppers e Billy Lane di Choppers Inc. Questi due personaggi con Indian Larry sono diventati le prime star mondiali del custom grazie ad un contest sponsorizzato dalla Camel e trasmesso da Discovery Channel, da cui sono nati i tantissimi format sui customizer che troviamo oggi in tv. Oltre a far crescere fama e conto in banca, i 3 sono stati capaci di prendere uno stile tradizionale e dargli un forte impulso innovativo, mantenendo tutti i segni distintivi della tradizione e la radicalità che lo contraddistingue. Un compito riservato a chi ha talento e doti fuori dal comune.
Su Instagram vi consiglio un account su tutti @chopcult e se volete vedere chi fa del chopper un vero culto senza andare dall’altra parte del mondo, seguite i ragazzi di Mekka of Choppers di Alba: pura ortodossia chopperistica.
Insomma, ogni stile custom può piacere o meno e si può discutere, tranne uno. Hail to the king chopper!