I visitatori e gli appassionati che dopo il periodo di restrizioni da Covid-19 si recheranno a Mandello Lario per i 101 anni di Moto Guzzi potranno rivedere la statua dedicata a Omobono Tenni, asso indiscusso delle due ruote, protagonista di imprese memorabili, tra gli anni venti e quaranta, in sella alle vincenti moto lariane. Un mito assoluto che ha saputo dimostrare coraggio e abilità innate, tracciando la strada che ha portato al motociclismo moderno. Capostipite dei più forti piloti italiani, è da considerarsi il primo grande campione della nostra nazione.
Era l’alba del 4 luglio 1948 quando un camion della fabbrica Moto Guzzi bardato a lutto lasciava Mandello Lario in direzione Treviso. A bordo, la bara di Omobono Tenni, deceduto tragicamente tre giorni prima in Svizzera, durante le prove del Gran Premio auto-motociclistico di Berna. Quel giorno, l’Italia intera e non solo, piangeva il più grande motociclista che la storia avesse conosciuto fino ad allora.
Tomaso Omobono Tenni era nato sempre in luglio, nel 1905 in una baita della Valtellina sopra Tirano. Nel 1920, la sua famiglia si era spostata a Udine, per poi stabilirsi definitivamente a Treviso due anni più tardi. Da lì, a diciassette anni aveva iniziato consegnando le copie del quotidiano locale, il Gazzettino, su un sidecar con cui raggiungeva i giornalai da Mestre a Trento, risalendo lungo la Valsugana.
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Da meccanico a pilota
Decise di dedicarsi alle motociclette e non seguire il fratello Carlo in Australia, emigrato in cerca di fortuna. Prima solo come meccanico e successivamente da titolare di un’officina a Treviso, riparava moto e le provava su strada con tale ardore che si fece notare dal presidente del Moto Club Treviso che ne intuì le abilità tecniche e sportive.
Nel 1924 gli venne quindi affidata una G.D. 125 cc. (classificata come bicicletta a motore) e il 30 marzo partecipò al Circuito della Postumia arrivando 1° di categoria e 2° assoluto, siglando il giro più veloce. Da questa gara iniziò una serie di vittorie e record nelle biciclette a motore, fino al 1928.
Con l’acquisto di una Norton 500 prima e una Velocette 350 poi, nel 1929 ottenne varie vittorie con le quali fu notato dalla Bianchi, che lo equipaggiò di una 500, ma la vera occasione arrivò dalla Moto Guzzi che, con una mentalità moderna e imprenditoriale, nel 1933 decise di scritturarlo come pilota ufficiale. In quell’anno, la sua prima gara fu la IX Milano-Roma-Napoli (che negli anni diventerà la più celebre Milano-Taranto), conclusasi senza successo per un guasto meccanico. Il 15 ottobre, invece, al I Circuito del Littorio a Roma, in sella alla Bicilindrica 500 fece il vuoto davanti agli avversari ignorando i cartelli esposti a ogni passaggio da Guzzi e Parodi che lo intimavano a rallentare. Cadde al terzo giro all’altezza della curva del raccordo e per la rottura del comando dell’acceleratore non poté riprendere il via.
Il 1934 fu l’anno del primo titolo di campione italiano nella classe 500, mentre il 1935, quello della consacrazione con numerose vittorie, piazzamenti e giri veloci in gare importanti come il Gran Premio d’Italia, il circuito della Maddalena, la Milano-Roma-Napoli e conseguente secondo titolo italiano consecutivo, ma soprattutto il debutto al TT dell’Isola di Man.
La vittoria al Tourist Trophy
In quella stagione la Moto Guzzi portò Tenni al Tourist Trophy dove vi prese parte con la monocilindrica 250 cc e la Bicilindrica 500. Il 19 giugno, sul tratto del Snaefell Mountain Course la nebbia aveva ridotto la visibilità e dagli iniziali diciotto metri, era calata a gara in corso. Al quinto giro, Omobono cadde dopo aver centrato un corvo sulla sua traiettoria. Incolume, riprese la corsa dopo un controllo visivo della moto in cui non si evidenziavano grossi danni. Purtroppo, un problema alla ruota posteriore non rilevato ne causò il bloccaggio, fiondando il pilota contro le vetrate di un ristorante. Con due costole rotte e varie ammaccature, saltò la gara delle 500 in programma due giorni dopo dove trionfò il compagno di scuderia Stanley Woods, che sancì la fine dello strapotere delle moto britanniche al Mountain.
Il 1936 fu la volta delle automobili e della partecipazione alla Mille Miglia, conclusa al quinto posto assoluto e al primo della categoria, al volante di una Maserati Tipo 4CS 1500. Al Gran Premio di Montecarlo, balzò al comando dopo il quarto giro e mantenne un vantaggio di circa un minuto fino al trentasettesimo passaggio quando, finendo contro le balle di paglia, dovette abbandonare. Al Nurburgring nel Gran Premio di Germania, riuscì invece a piazzarsi secondo, dopo aver siglato il giro più veloce. Concluse la parentesi su quattro ruote al Circuito di Milano con un altro ritiro dopo aver infervorato il pubblico ingaggiando un acerrimo duello con Emilio Villoresi.
Divenne anche Campione d’Europa nella classe 250 con la conquista del Gran Premio di Svizzera del 1937. Ma il 2 marzo perse due dita di un piede in un incidente su strada. A Brevate di Brivio, un autocarro si scontrò con le moto di Tenni e Aldo Pigorini che fortunatamente rimase illeso.
L’appuntamento mancato con la gloria del ’35 era solo stato rimandato e due anni dopo, la squadra corse dell’aquila lariana, tornò sull’isola con il suo pupillo. Il 16 giugno, nella gara della classe Leightweight in sella alla Guzzi 250 cc, prese la testa della corsa, ma una scivolata gli fece perdere trentacinque preziosi secondi. Rialzatosi anche stavolta, riprese in una forsennata rimonta, i cui dettagli dell’epoca raccontano sfregasse le spalle contro i muretti e saltasse letteralmente con la moto in più punti del tracciato. Tornato al comando al sesto passaggio, nel giro dopo dovette fermarsi per il cambio di una candela, mantenendo comunque il vantaggio necessario a vincere. Tagliò il traguardo con trentasette secondi su Ginger Wood e quattro minuti e mezzo su Ernie Thomas, giunto terzo. Durante la sua cavalcata a lieto fine, sono ormai famose le parole dello speaker che nei microfoni diceva: “Le notizie che mi pervengono da ogni zona del circuito concordano su un solo punto; Tenni sta curvando con pazzo abbandono, creando dubbi sul fatto che egli possa finire la gara in un pezzo solo”.
Giunto al TT come “l’uomo che viene della terra dei Cesari”, questa storica vittoria lo definirà per la stampa d’oltremanica il “Black Devil” (Diavolo nero) e di fatto il primo non britannico della storia a vincere in quella manifestazione.
Un altro incidente colpì Tenni nel 1939, tenendolo lontano dalle competizioni per mesi. Il 27 luglio, durante le prove del circuito del Lario, lungo il tratto in discesa che da Mereglio giunge a Barni, non riuscì a evitare l’impatto con un carretto trainato da un asino che era sfuggito ai controlli dell’organizzazione. Precipitando nella scarpata, si ferì braccio e gamba destra che i medici pensarono, in un primo momento, di dover amputare. Opponendosi all’estrema soluzione, il pilota lasciò l’ospedale di Como sulle proprie gambe solo il 7 settembre.
Il secondo conflitto mondiale sospese le competizioni e anche a causa del razionamento della benzina, prese parte a solo tre manifestazioni (esibizioni), fino alla ripresa nel 1945, quando tornò alla vittoria nella classe 250 alla seconda corsa al Circuito dell’Adriatico. Nel 1946, sul Circuito di Pedralbes al Gran Premio Internazionale di Barcellona, prima competizione oltre i confini dell’Italia dopo la guerra, vinse sempre nella quarto di litro, ma non riuscì a bissare il risultato nella 500, nonostante le medie altissime registrate sotto la pioggia battente. Divenne Campione Italiano per la terza volta nel 1947, quando conquistò anche il Campionato Europeo Motociclistico della 500. Fino all’incidente che gli costò la vita, vinse altre gare rendendosi protagonista di grandi imprese contro i maggiori talenti dell’epoca come Ferdinando Balzarotti, Gianni Leoni e quel Nello Pagani che diverrà poi Campione del Mondo negli anni a seguire.
Lo schianto fatale
A Berna, il 1 luglio del 1948, Tenni aveva appena collaudato con successo un prototipo Moto Guzzi della nuova 250 Bicilindrica, tanto che decise di scendere in pista con la sua vecchia Albatros 250 per compiere un giro di prova. Questa moto, secondo le indicazioni del pilota, aveva le pedane ribassate e proprio una di queste, alla Eymatt, si puntò sull’asfalto, sbalzandolo contro un albero. Lo stesso giorno, qualche ora dopo e un centinaio di metri prima, durante le prove della gara automobilistica, si schiantava fatalmente anche il campione Achille Varzi al volante della sua Alfa Romeo.
Quel 4 luglio, la bara, i fiori e un tristissimo cordoglio salutava l’eroe di grandi imprese. Lungo il percorso per giungere nella sua città, delegazioni e Moto Club si aggiungevano per il tratto di loro appartenenza. Il feretro fece tappa a Verona dove migliaia di persone passarono da Piazza Bra per rendergli omaggio e una volta a Treviso, ricevette l’onore delle Ali dagli aerei dell’Aero Club che lasciarono cadere sull’intero corteo petali di rosa.
Si può pensare che a rendere mitica la figura di Omobono Tenni siano state le coraggiose gesta e un esasperato sprezzo del pericolo. Fattori per cui divenne celebre al pubblico della sua epoca, oltre che conclamato asso della velocità e riconosciuto eroe sia del periodo fascista, quanto del secondo dopoguerra.
Il vero valore della figura di Tenni risiede nell’essere il fautore del motociclismo moderno, concentrato principalmente su gare di moto, e non aver mai preso troppo in considerazione l’alternativa dell’automobilismo che, dal grande Tazio Nuvolari a Piero Taruffi, era stato il fisiologico coronamento di carriere partite dalle due ruote. A Tenni si deve il grande merito di aver scelto, inventando il motociclismo per come lo conosciamo ancora oggi. Se Cesare De Agostini, nella biografia a lui dedicata, l’ha chiamato l’antenato di Valentino (Rossi), Omobono Tenni ha molti più eredi di quanto si possa immaginare ed è a pieno titolo il capostipite dei più grandi campioni di motociclismo.