La Münch Mammut è una delle moto più particolari e strane della storia. Massiccia e pesante come l’animale preistorico da cui prende il nome, è uscita dalla mente geniale di Freidl Münch che, nel 1965 decise di montare su un telaio in tubi di sua invenzione “Mammoth”, lo stesso motore di 996 cc della berlinetta NSU Prinz.
Costosa e tecnologica come un’auto
Costruita artigianalmente per contenere un peso che non superasse i 300 kg, aveva molte parti in Elektron, una speciale lega in magnesio che Münch utilizzava data la sua passata esperienza come ingegnere aeronautico nella Luftwaffe. Con questa tecnologia erano realizzati: cartella della distribuzione, coppa dell’olio, scatola del cambio, foderi forcelle, forcellone oscillante, carter della catena, le ruote, il codone, la sella e il parafango posteriore così come il supporto della strumentazione e del fanale. Quest’ultimo era uno dei due gruppi ottici della Prinz.
Poco diffusa oltre i confini nazionali, in Germania era apprezzata per i lunghi viaggi e le vacanze. All’epoca, nessun costruttore aveva a catalogo un “quattro cilindri” a parte la poco appetibile, per prezzo ed estetica, MV Agusta 600 conosciuta anche come “black-pig”. Mancava ancora qualche anno all’avvento delle veloci Honda CB Four 750 e grazie al suo motore da auto, beneficiava di un collaudato sistema di raffreddamento a liquido.
A noi piace piccola
In Italia, dove il boom economico lanciava le piccole utilitarie, la Vespa e tutto ciò che rendeva la mobilità alla portata delle nostre tasche, un mezzo del genere non aveva l’appeal adatto e il mercato favoriva le piccole cilindrate. Se l’automobile da cui derivava era economica, non si poteva certo pensare la stessa cosa per questa strana moto, piena d’ingegneria, soluzioni e con un ventaglio di possibilità d’impiego diverso dalle moto mediamente prodotte fino allora.
Nel corso della produzione, la Mammut passò dall’iniziale potenza di 55 Cv ai 100 del modello con motore 1200 cc. Originariamente dotato di carburatori Weber 40DCOE, dal 1973 fu introdotta l’iniezione meccanica Kugelfischer da cui assunse il nome di Model 1200 TTS-E. Per tener fede ai propri clienti, Münch costruì anche un impianto frenante con freno a tamburo da 250 mm.
Il tentato record e il rischio fallimento
Vincendo il campionato mondiale sidecar nel 1971, l’impegno sportivo dell’azienda si fece più intenso, ma i risultati non arrivarono. Dopo il tentativo di conquistare il record di velocità con la “Daytona Bomb”, il costo delle corse portò il marchio sull’orlo del fallimento. A dispetto della crisi economica, la produzione è proseguita, mantenendo la mentalità dei grossi propulsori. Nel 2001 uscì il modello Mammut 2000 di 1998 cc, disponibile in 250 esemplari, costava 166.000.000 di lire.
Una staffetta con NSU
La scelta di Münch di prelevare un motore NSU nato per le auto e farne il cuore di una nuova moto di grossa cilindrata, segna il casuale e involontario passaggio di consegne tra la storica fabbrica di Neckarslum, che chiuse la produzione di moto nel 1966, e il neonato progetto di Freidl, proseguito per anni con alterni successi, ma sempre strettamente legato alla filosofia originale.
La Mammut non è certamente il frutto della ricerca estetica, ma è comunque una moto unica. E’ figlia di un’antica passione per i lunghi viaggi in moto e si capisce l’esigenza di avere una grossa cilindrata a disposizione, in un periodo storico in cui inglesi, italiane e giapponesi sfoggiavano alte velocità con la metà della cubatura.
Questa moto nel cinema
A questa motocicletta è stato dedicato il titolo di un film con Gèrard Depardieu, uscito nel 2010. La pellicola non tratta il tema della moto o del motociclismo, ma il robusto personaggio interpretato dall’attore francese ne possiede una e la guida per gran parte della storia.
La curiosa intuizione del fanale
La cosa che più colpisce a prima vista è sicuramente il curioso e un po’ buffo fanale, come dicevamo, ricavato da un gruppo ottico della Prinz. Rispettando lo stile della moto, è una scelta funzionale e in tempi non sospetti, alquanto geniale. La stessa genialità riconoscibile anni più tardi alla presentazione della modernissima MV Agusta Brutale. In fase di progettazione Castiglioni suggerì ai propri ingegneri un faro automobilistico. La nuova moto, sarebbe uscita dagli stabilimenti, con un pezzo del suo Porsche parcheggiato all’ingresso.