Presentata al salone di Tokyo del 1987, non è mai entrata in produzione, ma aveva tutte le credenziali per divenire una moto di serie. La Suzuki “Nuda” funzionava in tutto e aveva come caratteristica principale la trazione integrale, mai riproposta in seguito. Non era solo un concept, ma raccontava il futuro a chi ancora non se lo poteva immaginare e a distanza di 37 anni, certe soluzioni di cui era dotata sono praticamente le stesse dei mezzi di punta dei maggiori marchi presenti sul mercato attuale. Un sogno rimasto tale, la prima vera 2×2 da 280 Km/h.
Appurato che non era un progetto statico, il motore, unica parte convenzionale di tutta la moto, era lo stesso quattro cilindri 16 valvole bialbero raffreddato ad aria e olio del GSX-R 750 in circolazione quell’anno, con qualche cavallo in più, assistito dal sistema STECS (Suzuki Total Engine Control System). Questa evoluta iniezione elettronica indiretta poteva contare su due sottosistemi: l’EPI che in pochi millesimi calcola la giusta quantità di benzina da iniettare a seconda di specifici e numerosi parametri e l‘ESA, sistema digitale per il controllo della curva di anticipo che stabilisce i tempi e la durata della scintilla.
Come sui modelli oggi in commercio, la Nuda prevedeva già la selezione del riding mode attraverso un sistema siglato SRIS (Suzuki Rewrite Injection System) ce consentiva la riprogrammazione della CPU (Central Process Unit), per ottenere erogazioni diverse, scegliere una coppia più in basso, variare l’erogazione della potenza più in alto, ecc.
La trazione integrale è intuibile a vista dai grossi carter che coprono la trasmissione su entrambe le ruote. Con due alberi controsterzanti in grado di ripartire equamente le forze da scaricare a terra, un sistema idraulico innovativo serviva a garantire una trasmissione “equilibrata” alle ruote impegnate a differenti velocità. Data la mole, e la trazione anche sull’anteriore, i tecnici Suzuki adottarono un servosterzo idraulico.
Ideale a sostenere la trazione integrale, la ciclistica si basava su due monobracci, che oscillavano ammortizzati da sospensioni in grado di mantenere un assetto anti affondamento e stabile in curva anche ad alte velocità. Anche la sella era ammortizzata e caratterizzata da un sistema che le permetteva di spostarsi durante la piega, seguendo il pilota, per poi rientrare in sagoma con esso. Le luci erano ad orientamento elettronico automatico e per accenderla non c’era la chiave, ma una scheda a contatto magnetico. La strumentazione di bordo ad elementi circolari mostrava il fondo scala del tachimetro a 320 orari e a 16.000 rpm quello del contagiri, ma la velocità dichiarata era di 280 Km/h, già tantissimi allora.
A completare un’idea così futuristica per l’epoca, non poteva mancare un design adeguato. A dispetto del nome era tutt’altro che svestita e la lunga e affusolata carena in fibra di carbonio avvolgeva interamente la moto. Probabilmente ad Hamamatsu sapevano bene che questo modello così innovativo e ricco di soluzioni non avrebbe avuto, per la sua concentrazione di tecnologia, il successo meritato e forse per questo non è mai andato in produzione, ma due ruote motrici a parte, l’importanza della Suzuki Nuda è molto più grande di quanto si possa stimare. Essendo un prototipo completamente funzionante e immatricolabile, ogni innovazione ha dato comunque seguito a perfezionamenti e ricerche dei cui risultati beneficiamo sui prodotti di oggi. A quasi quarant’anni dalla sua comparsa, Nuda non è stata solo la prima moto a trazione integrale, ma un vero laboratorio per quello che guidiamo tutti i giorni.