Se vincere è sempre difficile, confermarsi lo è ancora di più. Assume, dunque, i connotati dell’impresa il risultato messo a segno dalle Ferrari alla 24 Ore di Le Mans. Dopo 50 anni di assenza dalla classe regina, il precedente exploit aveva colto tutti alla sprovvista. Nulla contro il Cavallino, sia chiaro, ma l’inesperienza poteva giocare degli scherzi. Allora trionfò l’equipaggio composto da Giovinazzi, Calado e Pier Guidi, che nell’edizione appena conclusa si sono dovuti “accontentare” del terzo posto. Invece, nel duello con Toyota assetata di riscatto, l’ha spuntata la vettura n. 50 di Antonio Fuoco, Nicklas Nielsen e Miguel Molina.
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Il meglio di due mondi, l’ibrido e l’elettrico
Da uno scoppiettante confronto, che ha coinvolto pure Porsche e Cadillac, la superiorità di Maranello è emersa alla lunga. Nelle fasi iniziali ha regnato, infatti, l’equilibrio, ma, si sa, nelle competizioni di endurance i valori emergono sulla distanza. Oltre al talento dei driver, lo storico trionfo di Ferrari, l’undicesimo nella storia del marchio, è dipeso anche da un ingrediente “segreto”: il powertrain ibrido. A comporlo, un’unità termica di 680 CV e una elettrica di 272 CV, in modo da “avere una potenza installata che si avvicina ai 1000 cavalli – ha puntualizzato Lucio Calogero, Endurance Race Cars Power Unit Design and Development Manager –. Il regolamento tecnico del FIA WEC, tuttavia, ci impone di limitare la potenza erogata in ogni istante a circa 500 kW complessivi, una distribuzione che massimizza le prestazioni quando si attivano le quattro ruote motrici”.
Il bolide del 2023, da cui deriva anche la 499P Modificata apparentemente di Lewis Hamilton, fa leva su tecnologie rappresentanti l’avanguardia in ambito automotive. “Il motore termico fa parte della nuova piattaforma dei V6 sviluppata prima per le vetture stradali, quindi per quelle da competizione”, ha proseguito Lucio Calogero. Il propulsore termico è composto da 500 componenti, realizzati allo scopo di contenere il peso, attraverso dei materiali che consentano un rapporto ottimale tra resistenza e leggerezza.
Architettura “Hot V”
“Il sei cilindri, da 3 litri di cubatura, ha un angolo tra le due ‘V’ pari a 120°, e i turbi sono disposti all’interno delle due bancate, quindi parliamo di un’architettura nota come ‘Hot V’ – ha spiegato l’ingegnere della Casa di Maranello –. Tutte le componenti sono strutturali, sono state ridisegnate appositamente per la 499P per renderlo un motore portante, ovvero che rappresenta una parte essenziale del telaio stesso. L’applicazione specifica nelle competizioni, inoltre, ci ha permesso di sviluppare dei nuovi concetti che in futuro potrebbero servire da precursori tecnologici per le applicazioni stradali”.
Sviluppare un motore destinato alle corse di durata implica lo studio di numerosi fattori. “Le prestazioni e l’affidabilità sono state sviluppate sui banchi della fabbrica destinati alla produzione delle vetture stradali. Siamo partiti dai banchi dinamici, sui quali sono state calibrate le prestazioni e i controlli, quindi siamo passati all’affidabilità, un aspetto fondamentale nell’endurance al quale abbiamo dedicato circa 1000 ore di sviluppo – ha concluso Calogero -. A quel punto il lavoro è proseguito al banco vettura dinamico che abbiamo a Maranello e all’affinamento delle prestazioni in pista”. Nulla è stato lasciato al caso e ora viene il momento di godersi i frutti.