Sulle nostre strade è sempre più facile scorgere auto cinesi. Non si tratta di una semplice moda passeggera, quanto semmai il segno dei tempi che cambiano. Gli studiosi se ne dicono certi: la bolla eviterà di sgonfiarsi nei prossimi anni, e alle realtà tradizionali occorrerà adottare le opportune contromisure. Secondo una recente indagine di Alix Partners, entro il 2030 le Case della Repubblica del Dragone deterranno il 33% del mercato globale e, dunque, diverranno leader di settore.
Già oggi le auto cinesi possiedono una quota significativa a livello mondiale, pari al 21%. Ma la loro espansione è destinata ad accelerare, soprattutto sul suolo domestico, dove la loro “fetta di torta” passerà dall’attuale 59 al 72%. Anche all’estero la crescita sarà esponenziale: in Europa corrisponderanno al 12% del complessivo nel 2030. A quanto pare, le immatricolazioni di auto cinesi aumenteranno dagli attuali 3 milioni a 9 milioni entro la fine del decennio.
Indice
I fattori dell’ascesa
Diversi fattori concorrono all’ascesa inarrestabile delle aziende. Innanzitutto, incide in senso positivo l’ampia gamma di modelli immessa in commercio, adatta a soddisfare qualunque esigenza e budget. Le proposte sono spesso meno costose rispetto alle rivali europee e americane, sebbene vantino caratteristiche e prestazioni simili. Inoltre, la fase di sviluppo è molto più rapida in confronto ai competitor dell’emisfero occidentale. Tradotto: riescono a immettere dei nuovi esemplari con maggiore frequenza e, per la legge dei grandi numeri, hanno chance superiori di dettare legge. Ma il principale punto di forza è da ricercarsi negli investimenti sostenuti dal lontano 2007 nella transizione ecologica.
Sui veicoli a batteria hanno basato le rispettive fortune, e il bando dei mezzi endotermici nel Vecchio Continente dal 2035 gioca a favore. Si giustifica così la dura presa di posizione contro l’addio a benzina e diesel sostenuta dalla premier Giorgia Meloni, oltre che dall’intero Consiglio dei ministri. La decisione ha riscosso pure il parere negativo del vicepresidente di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, altrettanto tranchant nei giudizi. La Commissione UE ha fissato un incontro intermedio nel 2026, quando verranno tirate le somme sui progressi compiuti nelle BEV e, laddove lo ritenesse opportuno, potrebbe attuare degli accorgimenti, allentando i vincoli concordati in precedenza.
L’occidente è avvisato
Nel mentre, però, l’invasione delle auto cinesi preoccupa e tanto. Dopo il monopolio sostanziale conquistato nel settore dei pannelli fotovoltaici, il timore, neanche poi velato, è di assistere a uno scenario analogo nell’automotive. Spedita una task force nel Paese asiatico, le prove raccolte sui sussidi erogati da Pechino alle proprie rappresentanti hanno comportato un inasprimento dei dazi. In parallelo, gli Stati Uniti usano il pugno duro: l’amministrazione Biden ha imposto dazi al 100% sull’import, creando un ostacolo significativo all’espansione in un territorio cruciale.
A salvaguardia della manodopera nazionale, la Casa Bianca è passata alle maniere forti e neppure in caso di vittoria di Donald Trump alle elezioni si prospettano tempi facili. Il tycoon non è, come minimo, un gran simpatizzante delle BEV in generale e ha promesso delle azioni drastiche volte a contrastarne la diffusione delle BEV in generale. Un’ulteriore sfida a carico delle auto cinesi consiste nell’ostilità del Giappone, manifestata sotto forma di barriere commerciali e culturali.