Il protezionismo è il tema dominante tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, con leader politici di vari schieramenti che puntano a contrastare l’avanzata delle auto elettriche cinesi. Nel mirino, il Paese asiatico è finito con una accusa grave a proprio carico: di sovvenzionare le aziende locali, a scapito della concorrenza occidentale.
La controparte nega in modo categorico, ma qualche sospetto è sorto pure alla Commissione UE. Risale, infatti, solo allo scorso anno la decisione dell’organo sovranazionale di mandare una task force sul campo per investigare sulle manovre attuate da Pechino.
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I piani di Biden e Trump
Negli USA, sia Joe Biden sia Donald Trump stanno ponderando se applicare nuovi dazi contro la potenza orientale, in particolare su auto elettriche, minerali critici, batterie e pannelli solari. L’attuale numero uno alla Casa Bianca ha pure espresso la volontà di triplicare i dazi sull’acciaio e l’alluminio cinese.
I piani riflettono un’ampia tendenza, atta a salvaguardare la manodopera locale. Attualmente gli States applicano il 25% sui prodotti importati, ma, laddove venisse confermato, Biden avrebbe in mente di aumentare al 100%. In merito a Trump, il magnate punta al 60%.
Quanto vi sia la convinzione che i problemi dell’economia interna dipendano dalla Repubblica del Dragone non è chiaro. Con alcuni Stati in bilico, le dichiarazioni potrebbe celare soprattutto la volontà di strappare qualche consenso ulteriore in campagna elettorale.
Alla prospettiva delle manovre la Cina ha, intanto, già replicato. “Invece di correggere le loro politiche sbagliate, gli Stati Uniti continuano a politicizzare le questioni economiche e commerciali. Aumentare ancora i dazi significa aggiungere l’insulto al danno”, ha commentato negli scorsi giorni Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri, durante un briefing con la stampa.
Sul lato opposto della barricata, von der Leyen ha sempre da poco tenuto il punto:“La concorrenza leale è positiva – ha osservato -. Quello che non ci piace è che la Cina inondi il nostro mercato con auto elettriche sovvenzionate in modo massiccio. Dobbiamo proteggere la nostra industria”.
Le tariffe minacciate freneranno l’espansine cinese? Permangono delle perplessità a riguardo, alla luce dei recenti cambiamenti apportati al business. Anche qualora gli Stati Uniti decidessero di andare fino in fondo, con il prospettato rischio di incidente diplomatico, le restrizioni sarebbero aggirabili in maniera simile alle aziende operanti nel ramo dei pannelli solari. Che, allo scopo di evitare le barriere, hanno ridotto in misura drastica le esportazioni di acciaio e alluminio interne, appoggiandosi su Paesi terzi.
Germania contraria
Nel mentre, c’è chi frena in Europa, ovvero la Germania. L’amministratore delegato di Volkswagen, Thomas Schäfer, ha avvertito il Vecchio Continente circa le possibili “ritorsioni”. Dello stesso avviso si sono detti sia il CEO di BMW (pronta ad abbandonare i diesel), Oliver Zipse, sia il leader di Mercedes, Ola Källenius.
Il dominio cinese sui materiali necessari alla fabbricazione delle batterie pone in una posizione di vantaggio e, mette in guardia Zipse, tirare troppo la corda porrebbe in discussione il raggiungimento degli obiettivi di elettrificazione del trasporto sanciti dal Green Deal europeo. Stando all’alto dirigente, l’industria continentale non ha bisogno di protezione e i contro della mossa superano i pro.