Il tessuto economico italiano ha subito dei duri affondi nel corso degli ultimi anni. Ancor prima di Stellantis e anche dell’emergenza sanitaria, diverse rappresentanti della nostra penisola navigavano in cattive acque e alcune di loro non sono riuscite a resistere. Magneti Marelli fu uno dei casi più chiacchierati, data la lunga storia della compagnia, in precedenza un punto di riferimento assoluto nel settore, incapace, tuttavia, di adeguarsi alle mutate condizioni dello scenario industriale, segnato, in maniera inevitabile, dalla globalizzazione.
Una pagina nera, perlomeno nella prospettiva della nostra penisola, fu la cessione dell’azienda a un gruppo giapponese, interesse ad accaparrarsi uno dei migliori produttori di batterie per autoveicoli al mondo.
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La rinuncia al controllo di Fiat Chrysler
Prima dell’apertura delle Borse, nella mattinata del 22 ottobre 2018, alle 7 in punto, giunse l’annuncio: Fiat Chrysler Automobiles (FCA) aveva rinunciato al controllo della Magneti Marelli e deciso di cederla, in cambio di un corrispettivo pari a 6,2 miliardi di euro. La notizia non fu proprio un fulmine a ciel sereno. Ormai si sentivano da mesi rumors sulla vicenda ed era ipotizzabile una trattativa in corso, condotta dal fondo Kkr, controllante di Calsonic. Nel comunicato stampa veniva rassicurati i lavoratori: nulla sarebbe cambiato in termini occupazionali. Raccomandazioni fondamentali, giacché era uno degli aspetti principali da valutare.
I dipendenti di Magneti Marelli a livello internazionale erano 43.000 e in Italia 9.981, e tali sarebbero dovuti restare. Gli stabilimenti nella penisola italica erano dislocati in Piemonte, Emilia Romagna e Campania e la sede centrale si trovava in Lombardia, a Corbetta, in provincia di Milano.
Magneti Marelli è da sempre nota per le batterie relative agli autoveicoli, sebbene vanti una produzione alquanto avanzata di sensori, date come sicure protagoniste nella mobilità del domani, contraddistinta dalla guida autonoma, vale a dire di vetture in grado di guidare senza conducente.
Pertanto, l’amministratore delegato di FCA precedente, Sergio Marchionne, avrebbe continuato a tenere la proprietà della società. Invece l’erede Mike Manley stabilì da subito la vendita, la soluzione ideale nel breve termine sotto il profilo economico. Nelle casse sarebbe senz’altro entrato più denaro, a discapito della perdita di una delle maggiori controllate.
Le rassicurazioni di Manley
Secondo Manley poi la crescita futura di Magneti Marelli era un’opportunità molto più sicura dal momento che l’azienda è nelle mani dei giapponesi. Combinata con Calson Kansei, avrebbe continuato ad essere uno dei partner principali di FCA, la quale, infatti, sottoscriveva un accordo di fornitura pluriennale con Marelli Ck; l’intento era quello di continuare a distribuire il prodotto in Italia.
Il fatturato stimato della Marelli Calsonic Kansei ammontava a 15.2 miliardi di euro, gli stabilimenti della società sarebbero stati ben 200 nel mondo e i centri di ricerca e sviluppo costituiti nell’intero Vecchio Continente, nonché in Giappone e in America. Anche secondo i sindacati firmatari degli accordi Fca la mossa era positiva, ma evitavano di sbilanciarsi.
Prediligevano un approccio cauto e tenevano molto al fatto che la società avesse escluso fin dal principio delle ricadute sulla manodopera, perciò promettevano di vigilare sull’effettivo rispetto delle garanzie fornite. Peccato, però, che l’odissea per Magneti Marelli fosse appena all’inizio.